Malattie reumatiche e diabete: possono essere correlate?

Alcune malattie reumatiche causano un diffuso ed importante stato infiammatorio, come l’artrite reumatoide. Infatti, esiste uno stretto legame tra questa infiammazione e l’aumento della glicemia nel soggetto sano e nel diabetico.

Ma quali sono i meccanismi di questa correlazione?

 

 

1. Alterazione delle cellule del pancreas e resistenza dei tessuti all’insulina

Alcune sostanze responsabili dell’infiammazione articolare possono causare anche l’alterazione delle cellule del pancreas deputate alla secrezione di insulina con conseguente aumento della glicemia.

Inoltre, l’infiammazione può causare resistenza dei tessuti all’insulina (anche in questo caso con conseguente aumento della glicemia).
Dunque, l’infiammazione e le malattie reumatiche infiammatorie possono indurre iperglicemia o peggiorare il diabete già conclamato (soprattutto in soggetti che presentano anche altri fattori di rischio, quali obesità, vita sedentaria, familiarità).

 

 

2. Limitazione della mobilità
Le malattie reumatiche limitano molto la mobilità e l’attività fisica del paziente, favorendo l’aggravamento del diabete. Ormai, infatti, è accertata l’importanza dello svolgimento di attività fisica nei pazienti diabetici (oltre quelli con malattie cardiovascolari).

 

 

3. Uso del cortisone

L’utilizzo del cortisone (utile nelle fasi di riacutizzazione nelle malattie reumatiche infiammatorie) può causare incremento della glicemia.

 

 

In conclusione, possiamo affermare che alcune malattie reumatiche possano essere correlate col diabete.

Per questo motivo, è importante che nei pazienti con reumatismi infiammatori si esegua sin da subito uno screening precoce per escludere forme subdole di pre-diabete o di diabete non ancora noto, che potrebbero aggravarsi sempre di più.

Invece, nei casi di diabete noto è necessario che venga fatta una rivalutazione diabetologica per valutare eventuali modifiche terapeutiche, poiché l’importante stato infiammatorio generato dalla malattia reumatica potrebbe comportare un peggioramento del compenso glicemico.

Primavera e malattie reumatiche

Secondo lo studio Cloudy with a chance of pain del 2016 svolto dall’Università di Manchester molte persone che soffrono di patologie reumatiche sono convinte che le condizioni climatiche abbiano una certa influenza sui sintomi dolorosi.

Alcune persone con patologie reumatiche o altri disturbi muscoloscheletrici hanno dichiarato di sperimentare un aumento dei dolori articolari durante la primavera. Questo potrebbe essere causato da diversi fattori, come i cambiamenti di temperatura e di umidità, o dal maggiore livello di attività fisica che spesso si verifica in questa stagione.

I cambiamenti di temperatura e umidità possono condizionare sulla salute delle articolazioni e dei tessuti connettivi, causando un aumento del dolore, della rigidità e dell’infiammazione.

Ad esempio, il freddo tende a aumentare la rigidità delle articolazioni e l’umidità può aumentare l’infiammazione. Inoltre, la primavera è spesso associata a un aumento dell’attività fisica, come la pulizia della casa o il giardinaggio, che può causare un maggior stress alle articolazioni e ai muscoli.

Stagionalità e malattie reumatiche

Vediamo come i sintomi di alcune patologie reumatiche possono cambiare a seconda del tipo di stagione:

  • Fibromialgia: il dolore peggiora sensibilmente con il freddo e il clima umido, mentre il caldo e i periodi di vacanza apportano un miglioramento.
  • Artrite reumatoide: alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di una correlazione tra variazioni climatiche improvvise e peggioramento dei sintomi dell’artrite reumatoide in particolare gli sbalzi di pressione atmosferica. Passare repentinamente da un clima secco ad un clima umido potrebbe causare un acuirsi dei sintomi e anche l’esposizione diretta al sole potrebbe aggravare infiammazioni e la comparsa di reazioni cutanee collegate all’uso di farmaci.
  • Artrosi: il caldo secco può causare un aumento del fastidio e dei sintomi dolorosi.

Cosa fare se in primavera i dolori articolari aumentano?

Per gestire i dolori articolari durante la primavera, è importante seguire alcune semplici precauzioni, come:

  • Mantenere un’alimentazione sana ed equilibrata, che possa supportare la salute delle articolazioni e dei tessuti connettivi
  • Indossare vestiti adeguati alle condizioni climatiche, compresi i capi a strati per adattarsi ai cambiamenti di temperatura
  • Evitare di fare attività fisica eccessiva o improvvisa, in particolare se si hanno problemi articolari o muscolari
    Mantenersi ben idratati bevendo molta acqua
  • Fare esercizi di riscaldamento e stretching prima di iniziare qualsiasi attività fisica
  • Consultare il proprio medico reumatologo per sviluppare un programma di esercizi adeguato e personalizzato.

Inoltre, è importante continuare a seguire sempre il proprio piano di trattamento prescritto dal medico, inclusa l’assunzione di farmaci se necessario, e informare il proprio medico se i sintomi peggiorano o diventano più gravi.

Ad oggi non esiste letteratura a conferma della relazione tra acuirsi della sintomatologia e condizioni climatiche, possiamo solo raccogliere le testimonianze e aiutare i pazienti a gestire i sintomi dolorosi in ogni stagione dell’anno, scopri di più sul mio metodo.

Dolore al pollice: cos’è la rizoartrosi?

Il pollice è il dito che permette la maggior parte delle funzioni delle mani permettendoci di prendere, stringere e afferrare. In caso di dolore al pollice vengono compromesse tutte queste capacità..

Il dolore al pollice della mano può avere diverse cause, tra cui la rizoartrosi, che colpisce l’articolazione   trapezio-metacarpale  (unione del trapezio con la base del primo metacarpo)

La rizoartrosi è più frequente nelle donne e il rischio aumenta, per entrambi i sessi, con l’aumentare dell’età.

Rizoartrosi: i sintomi

I sintomi più comuni dell’artrosi del pollice sono dolore alla base del dito associato ad una diminuzione della capacità di afferrare oggetti pesanti o molto grandi.

Inizialmente il dolore si presenta solamente con il  movimento del dito, ma con l’avanzare della malattia il dolore inizia a presentarsi a riposo e durante la notte, causando anche disturbi del sonno. 

La rigidità causata dall’artrosi del pollice si riscontra maggiormente nei movimenti di estensione e abduzione. Generalmente le persone che soffrono di questa patologia tendono a limitare questi movimenti per evitare il dolore; si instaura  così  una limitazione funzionale destinata a peggiorare con il tempo.

La rizoartrosi in fase avanzata può arrivare a deformare il pollice facendogli assumere una forma simile a una zeta.

Quali sono le cause?

L’origine del dolore al pollice può avere cause diverse, per esempio potrebbe essere collegata alla sfera professionale. Ci sono alcune attività manuali che sottopongono l’articolazione a maggiori stress rendendo più probabile il rischio di sviluppare la malattia.

In diversi studi è stata registrata una maggiore incidenza nelle donne sopra i 50 anni di età e questo suggerisce che l’insorgere della malattia possa essere collegata anche a cambiamenti di tipo ormonale.

Altre cause possono essere traumi, iperlassità costituzionale, malattie del tessuto connettivo, familiarità, conseguenza di alcuni reumatismi infiammatori come l’artrite reumatoide o la condrocalcinosi.

Rizoartrosi: le cure

Per curare la rizoartrosi è possibile scegliere tra diversi tipi di trattamento. La scelta, generalmente, si basa sulla gravità dei sintomi riferiti dal paziente.

Il trattamento conservativo mira a ridurre il dolore e il carico meccanico sull’articolazione in modo da alleviare lo stato infiammatorio.

Il trattamento conservativo comprende diversi approcci terapeutici come:

  • ortesi: indossare dei particolari tutori in grado di mantenere il pollice in uno stato di “riposo forzato”. Queste ortesi vengono realizzate in diversi materiali e possono essere di tipo statico (da indossare durante la notte) o di tipo dinamico (da indossare durante il giorno). In genere all’utilizzo dei tutori si associa un programma di terapia manuale in grado di educare il paziente all’economia articolare che consiste nell’educazione gestuale e nell’utilizzo di particolari ausili per ridurre lo sforzo muscolare.
  • esercizi terapeutici: esistono dei movimenti particolari in grado di migliorare la mobilità articolare e lenire il dolore. Per esempio: comprimere la palla, raccogliere degli oggetti con delle bacchette, opposizione del pollice, etc…
  • terapia infiltrativa con acido ialuronico,  

Quando i trattamenti conservativi non generano più nessun beneficio è necessario ricorrere all’intervento chirurgico. Le procedure variano a seconda del caso clinico e hanno come obiettivo di ripristinare la stabilità articolare, eliminare le deformità e far scomparire il dolore.

La diagnosi

Per avere una valutazione clinica è necessario rivolgersi ad un medico reumatologo esperto. Il medico procederà con una valutazione manuale dello stato di salute dell’articolazione e con la ricerca del dolore al movimento e alla palpazione. Lo specialista procederà poi nella valutazione delle eventuali alterazioni della mobilità articolari e delle anomalie tissutali.

La valutazione strumentale avviene tramite radiografie in cui, nel caso di presenza della patologia, si osserverà la scomparsa o la degenerazione dello spazio articolare e la presenza di osteofiti, sporgenze ossee esterne all’articolazione. 

Mal di schiena: quando andare dal reumatologo? 

Il mal di schiena, lombalgia, è un dolore che si presenta nella zona del dorso o dei lombi.
Il mal di schiena è frequente, può presentarsi più volte durante l’anno ed è molto più comune con l’invecchiamento. Tuttavia è necessario prestare attenzione al tipo di dolore e alla durata perché la lombalgia può essere un campanello d’allarme di alcune patologie reumatiche.

Il mal di schiena può essere causato da problemi meccanici, come per esempio una lesione provocata dal sollevamento di un grosso peso, da problemi posturali, da scarso movimento, da stress psicologico oppure da infiammazione cioè correlato ad altre patologie in corso.

Mal di schiena meccanico: caratteristiche

Quando si presenta un mal di schiena causato da un’origine meccanica i sintomi presenti sono:

  • dolore all’inizio del movimento;
  • dolori intermittenti recidivanti;
  • dolore a seguito di un carico;
  • dolore causato dal movimento o dalla posizione.

Mal di schiena infiammatorio: caratteristiche

Quando il mal di schiena si presenta come conseguenza di un’infiammazione i sintomi sono:

  • dolore al mattino o nelle ultime ore della notte;
  • prolungata rigidità al risveglio;
  • il dolore migliora al movimento;
  • il dolore non deriva dalla posizione o al movimento
  • presenza di sintomi di infiammazione sistemica come sudorazione notturna, perdita di peso, peggioramento dello stato generale di salute.

Come curare il mal di schiena?

In caso di dolore “normale” è consigliato restare attivi e continuare a svolgere tutte le attività quotidiane. Restare a riposo a letto potrebbe aggravare la situazione causando una perdita muscolare e di sostanza ossea.

Alcune persone traggono beneficio dall’applicazione di impacchi caldi o freddi, l’efficacia di questa terapia non è stata dimostrata.

Alcuni farmaci come i FANS possono aiutare nella gestione del dolore ma prima dell’assunzione è necessario consultare il proprio medico curante.

Quando rivolgersi al reumatologo?

Quando il mal di schiena si presenta per periodi prolungati, oltre le 6 settimane è consigliato rivolgersi ad un medico reumatologo. Esistono molte malattie dell’osso che possono presentarsi inizialmente come un mal di schiena come l’artrite reumatoide, le spondiloartriti, la fibromialgia. Avere una diagnosi precoce è fondamentale per mantenere una buona qualità di vita in caso di presenza di patologie reumatiche.

In particolare è necessario rivolgersi immediatamente al proprio medico curante se al mal di schiena si associano anche i seguenti disturbi:

  • i dolori si propagano al braccio o alla gamba;
  • insensibilità o formicolio nella mano o nel piede;
  • alterazioni della sensibilità del braccio o della gamba;
  • malessere generale con febbre;
  • dolori al torace o allo stomaco.

Fibromialgia: sintomi e cura

La fibromialgia è una condizione di dolore cronico diffuso che colpisce molte persone. Vediamo quali sono i principali sintomi di questa patologia e il percorso terapeutico per curarla.

Fibromialgia: sintomi principali

I sintomi della Fibromialgia possono essere sfibranti dal punto di vista fisico e psicologico. Questo perché la patologia si caratterizza per provocare una spiccata ipersensibilità al dolore.

I sintomi principali, elencati secondo quanto riferito dai pazienti e riportato nella letteratura scientifica, sono:

  • dolore diffuso con inizio graduale a carattere sordo;
  • rigidità;
  • estrema sensibilità al tatto;
  • dolore articolare.

Il fisico è sottoposto ad un forte stress per cui possono anche presentarsi altri sintomi, provocati dallo stato di allerta perenne causato dal dolore, come: 

  • stanchezza;
  • disturbi cognitivi;
  • difficoltà di concentrazione;
  • sensazione di torbidezza mentale;
  • problemi del sonno;
  • ansia;
  • depressione.

Infine possono manifestarsi anche dei sintomi riconducibili anche ad altre patologie, come:

  • sindrome del colon irritabile;
  • emicrania;
  • cefalea muscolo tensiva;
  • parestesie;
  • lombalgia;
  • crampi alle gambe;
  • debolezza muscolare.

Fibromialgia: cure

Purtroppo, si tratta di una malattia cronica, ovvero senza cura. Pertanto, subito dopo la diagnosi, è fondamentale impostare un programma terapeutico che non escluda l’educazione del paziente e la propria salute psicologica. Il paziente va, inoltre, formato circa le caratteristiche della malattia e i fattori che possono peggiorarla.

Il trattamento della Fibromialgia è quindi finalizzato alla riduzione dei sintomi per ottenere una buona qualità di vita.

Le terapie sono diverse, tutte studiate “ad hoc” sul paziente specifico

L’approccio farmacologico è ancora in fase di ricerca. Attualmente sono stati individuati alcuni farmaci che potrebbero alleviare i dolori della malattia:

  • Analgesici: utilizzati per ridurre il dolore lieve ma non privi di effetti collaterali; 
  • Miorilassanti: l’efficacia reale è ancora in fase di studio;
  • Antidepressivi: la valutazione dell’efficacia è ancora in fase di ricerca;
  • Antiemicranici: in valutazione la capacità del farmaco in somministrazione sottocutanea.

Il trattamento maggiormente efficace parte con l’educazione del paziente che passa attraverso i seguenti punti chiave:

  • condivisione della presenza di un reale problema di salute; 
  • coscienza del ruolo dello stress e dei problemi legati all’umore;
  • ruolo del sonno e dei suoi disturbi;
  • ruolo dell’attività fisica;
  • prognosi;
  • capacità di adattarsi e strategie di “coping” da attuare.

I trattamenti non farmacologici sono fondamentali nella gestione della fibromialgia.  Ad oggi, tra le tecniche preferite in tal senso ci sono senza dubbio quelle che comprendono:

  • l’attività fisica: grazie all’attività fisica i muscoli sono meno vulnerabili agli stimoli esterni ambientali, aumenta il rilascio di endorfine che inibiscono il dolore;
  • la terapia cognitivo-comportamentale: è efficace per la riduzione del dolore e dell’umore depresso perché permette ai pazienti di acquisire le competenze necessarie per fronteggiare la malattia;
  • l’agopuntura: si è dimostrata efficace nel miglioramento del dolore, della qualità del sonno e del benessere complessivo;
  • l’alimentazione: ad oggi non troviamo evidenze scientifiche che possano far propendere la scelta terapeutica verso una dieta specifica piuttosto che un’altra tuttavia il controllo del peso corporeo è indispensabile per migliorare la sintomatologia della malattia.

Se si è in presenza di alcuni sintomi riconducibili alla fibromialgia, è fondamentale affidarsi ad un reumatologo esperto, il quale effettuerà una diagnosi corretta e individuerà il piano terapeutico più adatto alle esigenze del paziente.

Fibromialgia: di cosa si tratta e da cosa è causata

Chi soffre di fibromialgia presenta un dolore cronico diffuso. Si tratta di un disturbo spesso di difficile diagnosi che comporta una convivenza con il dolore e che può causare disturbi psicologici come la depressione.

Cos’è la fibromialgia?

La fibromialgia si manifesta con un dolore di tipo muscolo-scheletrico diffuso, anche se spesso ha origine da una determinata sede; si possono associare problemi cognitivi, disturbi del sonno, ansia o depressione.

La fibromialgia affligge maggiormente soggetti adulti, donne (90% dei soggetti colpiti) ma può presentarsi anche in uomini  e negli adolescenti.

Questa patologia può presentarsi quindi ad ogni età ma è più frequente nei soggetti tra i 40 e i 60 anni

Quali sono le cause della fibromialgia?

Oggi non è semplice individuare quale sia la vera causa della fibromialgia. Si tratta, infatti, della combinazione di fattori genetici e ambientali. Ad esempio, cause scatenanti come un grave lutto familiare, potrebbero permettere l’insorgere di sintomi riconducibili alla fibromialgia stessa.

Tuttavia, è verosimile escludere una causa unica. La maggior parte dei pazienti, infatti, non identifica un singolo evento determinante.

Quali sono le cause della fibromialgia?

Oggi non è semplice individuare quale sia la vera causa della fibromialgia. Si tratta, infatti, della combinazione di fattori genetici e ambientali. Ad esempio, cause scatenanti come un grave lutto familiare, potrebbero permettere l’insorgere di sintomi riconducibili alla fibromialgia stessa.

Tuttavia, è verosimile escludere una causa unica. La maggior parte dei pazienti, infatti, non identifica un singolo evento determinante.

Esistono però alcuni fattori in grado di intensificare i disturbi della malattia come:

  • lo stress generalizzato o legato a eventi come traumi o lutti;
  • affaticamento da lavoro;
  • cattiva qualità del sonno;
  • cambiamenti meteorologici in particolare il freddo e l’umidità.

La diagnosi

Per la formulazione diagnostica, devono essere soddisfatti, generalmente, 3 criteri:

  • Dolore diffuso in determinate aree del corpo;
  • Presenza di sintomi caratteristici quali: cefalea, sensibilità al tatto, disturbi della sfera affettiva, dolore facciale, lombalgia, rigidità muscolare, crampi o dolore addominale;
  • Durata di almeno 3 mesi;

Questi criteri clinici sono stati elaborati dall’American College of Rheumatology che comprendono un mix di dolori articolari e non classificati per gravità.

I sintomi della Fibromialgia sono molti e molto diversi fra loro ma possono essere comuni anche ad altre patologie, pertanto occorre procedere escludendo altre patologie. Vediamo i sintomi che non sono presenti nella Fibromialgia e che permettono di fare una diagnosi differenziale:

  • gonfiore delle articolazioni (presente nell’Artrite reumatoide);
  • rash cutaneo (presente in Lupus sistemico eritematoso);
  • ridotta mobilità della colonna vertebrale (presente nella Spondiloartrite);
  • deficit sensitivi o motori (presente nella Neuropatia).

In Italia la Fibromialgia è una delle patologie reumatiche più diffuse, dopo l’Artrosi, e colpisce circa 4 milioni di persone. Per questo motivo è necessario un consulto con un medico specialista in reumatologia per avere una diagnosi e valutare l’eventuale insorgere della malattia.

Infiltrazioni articolari: cosa sono e a cosa servono

Con il termine infiltrazioni articolari si intende l’iniezione di un liquido medicinale a scopo terapeutico. Questo può essere iniettato sia all’interno che all’esterno dell’articolazione, ovvero può rappresentare un’infiltrazione intra-articolare o peri-articolare.

Soprattutto in merito alle patologie dei muscoli e dello scheletro, le infiltrazioni stanno assumendo un ruolo di importanza crescente in ambito ortopedico. L’artrosi, infatti, rappresenta un problema che non riguarda soltanto la popolazione anziana, bensì anche gli adulti più giovani. Per combattere questo disturbo, le infiltrazioni possono essere di grande aiuto ed è per questo che vengono spesso associate alla fisioterapia.

Le infiltrazioni articolari di acido ialuronico, in particolare, tendono ad essere preferibili in quanto l’acido ialuronico si consuma nel tempo e non rimane in eterno nella zona di iniezione. In questo caso, infatti, non si effettua un’unica iniezione ma si procede con un ciclo da ripetere nel tempo.

Chi può sottoporsi ad infiltrazione articolare?

Questa soluzione non è consigliabile per tutte le tipologie di paziente. Esistono, infatti, alcuni fattori che limitano l’utilizzo di tale tecnica (come l’obesità, il diabete oppure l’ipertensione arteriosa).

Quali sono sono i pazienti più frequenti?

L’utilizzo delle infiltrazioni articolari è più frequente in ambito sportivo, dove lo sport viene praticato al livello professionistico. Un’attività sportiva intensa giornaliera, infatti, può portare ad un’usura importante delle articolazioni, causando infiammazioni ad esempio. Le infiltrazioni possono aiutare a tamponare il fastidio o a lubrificare un’articolazione, ma l’importante è non abusarne per non incorrere in problematiche più serie.

In conclusione, le infiltrazioni articolari, successive ad un’attenta diagnosi, possono rallentare il processo di degenerazione articolare e alleviare i sintomi ad esso connessi. Si tratta, certamente, di una soluzione che deve essere necessariamente accompagnata da uno stile di vita adeguato, scarsa sedentarietà e corretta stimolazione del flusso sanguigno.

Se desideri richiedere un consulto medico, puoi contattare telefonicamente il numero +39 3285488572 oppure scrivere all’indirizzo infp@pietrolaporta.it

Sintomi Artrite Reumatoide: ecco come riconoscerla

L’artrite reumatoide è una malattia che colpisce le articolazioni, rendendole dolenti e tumefatte. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce soprattutto le donne (di età compresa tra i 40 e i 50 anni) e può coinvolgere anche altri organi e apparati.

Si tratta della forma più severa tra le malattie osteoarticolari, con un’incidenza di circa l’1% della popolazione. In Italia, infatti, si contano circa 400.000 casi.

L’Artrite Reumatoide non ha un’unica causa. È lo stesso sistema immunitario che attacca i tessuti sani, non riconoscendoli come tali, e bersaglia la cosiddetta membrana sinoviale. Tra i fattori di rischio, troviamo sicuramente elementi genetici e ambientali, ma anche genere, età, fumo, fattori alimentari, ormonali, socio-economici e infettivi.

La dieta mediterranea, a tal proposito, rappresenta un fattore protettivo dalla malattia e soprattutto dalla severità della stessa, proprio al contrario dell’obesità.

Artrite Reumatoide: quali sono i sintomi?

La malattia si presenta con sintomi quali gonfiore, dolore, rigidità al movimento e perdita delle funzionalità articolari. In particolare, è il dolore a rappresentare il sintomo principale, continuo e presente anche a riposo.

Anche la rigidità si presenta nella maggioranza dei casi, ma principalmente nella fase del risveglio, per poi durare anche diverse ore. Le articolazioni coinvolte sono quelle piccole, dalle mani ai piedi, i polsi, i gomiti, le spalle, ginocchia e caviglie. Al dolore associato a questi ultimi può accompagnarsi anche stanchezza, febbre, perdita di peso e indolenzimento.

La terapia, generalmente, ha tre obiettivi:

  • 1. Ridurre l’intensità dei fastidi
  • 2. Arrestare l’avanzare della malattia
  • 3. Recuperare le funzioni

A tal proposito, vengono utilizzati farmaci antinfiammatori non steroidei e corticosteroidi, in particolar modo per il raggiungimento del primo obiettivo. Per il secondo, occorre l’utilizzo di farmaci di fondo, mentre per il terzo obiettivo sarà necessaria una riabilitazione e chirurgia ortopedica.

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La sindrome di Sjogren, sintomi e cause

La sindrome di Sjogren è una malattia infiammatoria cronica che può interessare molti organi, ma – nella maggior parte dei casi – aggredisce le ghiandole esocrine. In particolare, quelle lacrimali e salivari.

Questa patologia colpisce – per il 90% dei casi – le donne, con un picco di incidenza intorno ai cinquant’anni.

La perdita progressiva della secrezione ghiandolare è causata dall’infiltrazione di alcune cellule del sistema immunitario nelle ghiandole, impedendo loro di funzionare correttamente.

La sindrome di Sjogren può essere:

  • Primaria: compare in modo isolato, senza associarsi ad altre malattie;
  • Secondaria: compare in associazione con altre malattie reumatiche come – ad esempio – il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide o la sclerodermia.

I sintomi della sindrome di Sjogren

I sintomi della sindrome di Sjogren si manifestano con la secchezza di bocca ed occhi.

Nel primo caso, il gusto dei pazienti viene alterato ed aumentano carie e disturbi nella deglutizione.

Nel secondo caso – invece – i sintomi di questa malattia infiammatoria cronica sono costituiti da rossore e bruciore oculare.

Ulteriori sintomi possono essere: eruzioni cutanee, astenia, tosse secca, dolore articolare e muscolare.

Le cause della sindrome di Sjogren

Le cause della sindrome di Sjogren sono poco note. Tuttavia, si ritiene che la combinazione di più fattori concorra alla sua comparsa e, in particolare:

  • Fattori genetici;
  • Fattori ormonali;
  • Esposizione a virus o batteri.

L’esposizione a questi fattori altera il sistema immunitario che, invece di aggredire agenti dannosi (come virus o batteri), colpisce parti dell’organismo.

In questo caso, vengono aggredite le ghiandole esocrine; in particolar modo – appunto – quelle salivari e lacrimali.

La diagnosi della sindrome di Sjogren

La diagnosi della sindrome di Sjogren prevede – oltre all’anamnesi e alla visita medica – la dimostrazione della secchezza oculare e buccale.

Quest’ultima – in particolare – si esegue con una biopsia delle ghiandole salivari minori (sul labbro inferiore).

L’iter diagnostico può prevedere, inoltre:

  • Esami del sangue (indici di infiammazione, autoanticorpi ANA ed ENA);
  • Test di Shirmer (che misura la secrezione lacrimale);
  • Ecografia delle ghiandole salivari.

La possibile terapia

Non è possibile determinare una terapia specifica per la sindrome di Sjogren.

Generalmente, la secchezza oculare viene trattata con immunosoppressori (come, ad esempio, l’idrossiclorochina o il methotrexate) o sostituti lacrimali ed è alquanto importante mantenere un’adeguata igiene orale al fine di limitare il rischio di infezioni.

All’interno della terapia, è possibile fare uso di farmaci cortisonici e antinfiammatori e risultano utili ulteriori terapie di supporto, come: lacrime artificiali, creme per gli occhi o irrigazioni nasali saline.

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Cosa sono e a cosa servono i fattori di crescita

I fattori di crescita (PRP) sostengono la crescita dell’osso e dei tessuti molli (cute, sottocute, tessuti miofasciali), migliorando la risposta ai danni biologici e favorendo la guarigione delle ferite.

Si ottengono dalle piastrine autologhe (prelevate cioè dallo stesso paziente), attraverso un prelievo che viene – poi – sottoposto a duplice centrifugazione e, infine, concentrato.

Essendo sostanze naturali di derivazione umana autologa, i fattori di crescita sono privi di tossicità e non ne sono stati riscontrati effetti collaterali.

I PRP si caratterizzano per la loro capacità di stimolare i processi riparativi e la crescita dei tessuti danneggiati, sui quali sono applicati.

Stimolano – inoltre – la proliferazione cellulare, i processi riparativi e quelli rigenerativi, accelerando anche la cicatrizzazione delle ferite.

Le infiltrazioni con fattori di crescita si utilizzano nelle lesioni muscolo-tendinee ed in quelle osteo-articolari, ma anche nei processi degenerativi osteoarticolari e per quelle ferite che faticano più del previsto a guarire (come – ad esempio – ustioni o piaghe da decubito).

Le patologie che vengono trattate con i fattori di crescita possono essere di due tipologie: patologie muscolo-tendinee e patologie osteoarticolari.

All’interno delle patologie muscolo-tendinee rientrano:

  • Lesioni tendinee;
  • Tendinopatie degenerative (la tendinosi dell’achilleo, del rotuleo, della cuffia dei rotatori, etc.);
  • Tendinopatie infiammatorie (come la Tenosinovite di De Quervain);
  • Dito a scatto;
  • Fascite plantare;
  • Lesioni muscolari (strappi, stiramenti, contratture e affaticamento muscolare);
  • Lesioni meniscali.

Le patologie osteoarticolari, per le quali vengono generalmente utilizzati i fattori di crescita, sono:

  • Artrosi del ginocchio, della caviglia, scapolo-omerale;
  • Rizoartrosi;
  • Condropatia femororotulea.

Le infiltrazioni con fattori di crescita rappresentano un trattamento veloce e poco invasivo – realizzato in meno di un’ora – che consente al paziente di riprendere immediatamente le proprie attività quotidiane.

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